Una volta Man Ray disse: «di sicuro, ci sarà sempre chi guarderà solo la tecnica e si chiederà "come", mentre altri, di natura più curiosa, si chiederanno "perché"».
Anche a me una persona curiosa ha chiesto di illustrare il perché di questa foto, e le righe che seguono sono la mia risposta. Ero a Yangon (Myanmar), come sempre alla ricerca di occasioni per incontrare e fotografare la popolazione locale, cogliendola nella sua quotidianità. Uno dei mezzi più efficaci è sicuramente quello di recarsi alla stazione, o meglio salire su un treno, ottimo espediente per venire in contatto e relazionarsi con la gente comune, i miei soggetti preferiti.

Per pochi centesimi acquisto quindi un biglietto e salgo sulla “circular line”, un treno che attraversa tutta la città per poi ritornare, dopo circa tre ore di “full immersion”, ancora alla stazione di partenza. Il treno si muove a rilento ed effettua frequentissime fermate, e in queste soste salgono, oltre ai passeggeri, anche molti venditori, che approfittando del “fermo” forzato dei passeggeri colgono l’occasione per vendere loro cibo e mercanzie di ogni genere, trasformando a volte gli scompartimenti in piccoli ma movimentati mercati. Mentre mi muovo da un vagone all’altro, facendomi faticosamente spazio fra persone e merci di ogni tipo e dimensione, entro infine in una carrozza “relativamente” vuota, e questo mi permette di notare subito una giovane donna seduta da sola su una panca (sì, perché qui non ci sono poltrone o sedili) con la testa abbandonata contro il finestrino e lo sguardo sognante, dolcemente perso ad inseguire chissà quale sogno. Temendo di spezzare l’incantesimo mi blocco a pochi passi da lei, alzo lentamente la fotocamera e inizio a scattare.

Ad ogni click trasalisco, temendo si riscuota dal suo sogno ad occhi aperti prima che io riesca ad ottenere la “foto perfetta”, ma nulla sembra penetrare il mondo che solo lei vede. Continuo a scattare, ma ad un tratto percepisco che qualcosa è cambiato. All’inizio fatico a capire cosa sia, visto che lei non si è mossa di un millimetro… poi realizzo che sono i suoi occhi: non più sognanti e persi ma puntati direttamente su di me, più incuriositi che sorpresi. Abbasso la fotocamera e abbozzo un sorriso, lei ha un attimo di esitazione poi ricambia il mio sorriso. Decido di avvicinarmi di più, ma non c’è tempo: il treno inizia a frenare, lei si alza velocemente, raccoglie una borsa, mi fa un ultimo sorriso e va verso l’uscita.
Per essere sicuro di non essermi sognato tutto, controllo rapido sul display gli scatti effettuati e poi proseguo nella mia “caccia” fotografica, accantonando nella mia mente l’episodio. Qualche mese dopo, riguardando le foto di quel viaggio, mi accorgo di essere riuscito a scattare due foto di quella donna perfettamente identiche, tranne che per un particolare: lo sguardo. Allora mi sono chiesto: perché usare due foto quasi simili singolarmente e non provare invece ad unirle in un'unica immagine che le comprenda entrambe? Già, bella idea… ma più che altro una fantasia in quel momento, una sfida forse troppo grande per me, sia dal punto di vista tecnico sia, soprattutto, dal punto di vista “artistico”. Tecnicamente sono sicuramente in grado di trattare le mie foto per correggerne alcuni difetti o per enfatizzarne alcune caratteristiche, ma non possiedo le tecniche per modificarle pesantemente o per ricrearle completamente.
Ma dal punto di vista artistico il problema che mi si poneva era ancora più grande, perché la fotografia creativa o concettuale non rientra assolutamente nel mio “credo” fotografico. Io sono un fotografo di street con una particolare predilezione per il ritratto, un fotografo che ama “raccontare” per immagini la vita quotidiana e gli effetti che essa produce sui volti delle persone, quindi quanto di più lontano da un fotografo che invece ama “creare” immagini per rappresentare una propria idea, una fantasia o un’ossessione. Un fotografo creativo/concettuale è concentrato sul proprio mondo interiore, ed il suo sforzo creativo in genere si esaurire nella creazione di immagini allegoriche o fantastiche che colpiscono l’immaginazione, che suscitano grande ammirazione per la loro perfezione tecnica, ma che raramente emozionano.
Un fotografo di street è invece concentrato sugli altri, sulla ricerca del modo migliore per far parlare i propri soggetti, che sono i soli protagonisti delle sue foto, non mette nulla di sé nella foto se non la sua abilità nel riuscire a cogliere, in un attimo, tutta la drammaticità di una scena o la profondità di uno sguardo. Una fotografia che non ha come obiettivo il virtuosismo tecnico, ma la semplicità e soprattutto la capacità di suscitare un’immediata e forte reazione emotiva. Dunque due modi d’intendere la fotografia completamente diversi, quasi opposti. Rimanere in equilibrio fra queste due visioni era quindi il mio maggior problema: dovevo riuscire ad immagine una foto che fosse sì frutto della mia fantasia, ma senza cadere nel concettuale o nell’elaborazione spinta, e che allo stesso tempo mantenesse le caratteristiche di semplicità ed emozionalità di una foto di street. Dopo aver preso in considerazione e scartato infinite idee, per un motivo (troppo complicato) o per l’altro (troppo sofisticato), finalmente la mia fantasia ha “partorito” una trama ideale: siamo su di un treno ovviamente, e una giovane donna innamorata si sta recando dal suo uomo. Durante il viaggio si appoggia al finestrino, volgendo lo sguardo ad un panorama che le scorre davanti ma che i suoi occhi non vedono, troppo impegnati ad immaginare la gioia che l’aspetterà all’arrivo.

Il viaggio però prosegue a rilento, così la sua immagine riflessa, ormai annoiata, decide quindi di sguanciarsi dal suo “originale” e di iniziare a guardarsi intorno per conto proprio. E la prima cosa che vede, con sua grande sorpresa, è un uomo che svettando su tutti gli altri (dall’alto dei suoi quasi due metri) la sta fotografando ripetutamente. Ora che avevo immaginato una storia, dovevo “semplicemente” ottenerne l’immagine: dovevo e potevo farcela. In fondo si trattava “solo” di rovesciare una delle due foto, per renderla perfettamente speculare all’altra, di reinquadrare la scena per lasciare molto più spazio al finestrino (unico elemento che avrebbe dovuto essere ricreato perché appena presente nelle foto originali) nel quale sarebbe poi stata inserita l’immagine che sarebbe servita da riflesso assieme ad uno sfondo bucolico per rendere il riflesso più verosimile. Una bazzecola probabilmente, almeno per un fotografo creativo, ma un’attività che a me ha richiesto circa due mesi di tentativi, a riprova delle mie scarse abilità nella postproduzione. Con pazienza e testardaggine, però, alla fine ho ottenuto ciò che avevo in mente. Non posso certo negare che questa foto contenga alcuni difetti (come mi ha delicatamente fatto notare una bravissima fotografa concettuale) ma credo di essere comunque riuscito a mantenere in essa la semplicità e tutto l’impatto emozionale delle foto di street, così come mi ero prefissato all’inizio. Ma questo ovviamente è solo un opinabile parere personale.

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Questo racconto è stato scritto da Serpan, questo il suo profilo su fotocontest 
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Commenti (32)

Thot-Nick [reply:RdEBAA]Caro @Ston3DPhoto, quello che non mi sono perso è sicuramente la marcia indietro in fatto di coerenza nello scrivere una cosa e poi cercare di rimediare subito dopo.
Come non mi sono perso che studi e sviluppi immagini da più di 5 anni.
Non serve ribadirlo, l'hanno letto tutti.
Saluti
4 anni fa 
Ayahuasca [reply:RtEBAA]Wow, che eleganza
4 anni fa 
utente cancellato [reply:RNEBAA]Scusami tu ma ogni volta è un tema.. Non c'è la faccio a leggere tutto. Bye
4 anni fa 
utente cancellato [reply:Q9EBAA]Forse ti è sfuggito il virgolettato. Quello non è un mio pensiero diretto ma una citazione di chi della postproduzione ci campa e la insegna da anni e anni. Ti sei perso anche che studio e sviluppo immagini da 5 anni ma vabbè son dettagli.
4 anni fa 
Ayahuasca [reply:MtEBAA]@Ston3DPhoto , permettimi di dissentire su praticamente tutto quello che hai scritto.
la ricerca estrema della perfezione non ha nulla a che fare con il surrealismo di certe immagini, e non è sempre vero che una foto "perfetta" (se mai la foto perfetta esiste) sia per forza senz'anima. ho letto molto spesso qui sul forum di Fotocontest che perfezione tecnica equivale a mancanza d'anima o messaggio, mentre una foto imperfetta invece comunichi per forza qualcosa. per me l'uno non esclude l'altro, e sinceramente, certe imperfezioni, mi distraggono dal racconto.
certo, una ricerca maniacale della perfezione in ogni singolo dettaglio può far perdere di vista il messaggio (mi capita spesso, mea culpa) ma non è sempre e per forza vero, così come una foto con orizzonte storto o mossa comunichi sempre qualcosa.
poi dici "ogni immagine "dovrebbe" risultare più naturale possibile, l'uso della post produzione non dovrebbe MAI superare il limite fra immagine e grafica, la post nasce per risolvere i problemi della fotografia e non per stravolgere completamente la fisionomia della stessa. ". scusa, ma chi l'ha stabilito? da quando è nata la fotografia sono nati gli effetti speciali. certo se sei un fotografo di reportage di guerra sarebbe scorretto stravolgere l'immagine, ma è un problema di etica, non di anima, o di messaggio, o di arte. sono in contatto con una delle più importanti pittrici contemporanee mondiali, e un grande fotografo di nudo italiano, e loro sinceramente se ne fregano altamente del come, del cosa è stato utilizzato. l'importante è il risultato, poco importa cosa sia stato usato per creare. queste problematiche sono per noi comuni mortali.
anch'io studio e pratico la post-produzione da tanti anni, e sono stata la prima a sollevare dubbi sulla foto si @Serpan .
Ma permettimi di dissentire ancora una volta, ci sono ritoccatori che sono, indiscutibilmente, artisti. ogni mestiere ha le sue sfumature. c'è il parrucchiere che ti taglia i capelli e fa la messa in piega, e poi c'è il parrucchiere che fa vere opere d'arte per il cinema o la fotografia, le sfilate o chennesò. in ogni campo c'è l'artigiano e l'artista (parole che tra l'altro derivano dalla stessa etimologia, da "arte"). Inoltre il talento, nel senso di predisposizione naturale a qualcosa, non esiste (e non sono io a dirlo). esiste solo il tanto tanto lavoro su un campo di predilezione.
quel che conta, in definitiva, è il messaggio, l'emozione. e più un'immagine è "raccontata" bene, più efficace sarà nel far arrivare il messaggio.
4 anni fa